Alle pillole viene attribuito il magico potere di ristabilire quell'equilibrio che il malessere ci aveva tolto e di farci tornare alle nostre normali attività senza essere più disturbati. Si cercano delle risposte immediate al disagio, senza neppure fare la fatica di porsi delle domande sulla sua origine. Nell'ottica del farmaco, depressione e ansia, per quanto forti, vengono percepiti comunque come disagi collaterali, che non intaccano la nostra personalità. Quindi non bisogna fare altro che eliminarli: via il dente, via il dolore.
In pratica, per mettere a tacere delle parti di noi che reclamano a gran voce di essere ascoltate, tappiamo loro la bocca, così non le sentiamo più. Rendendole mute, pretendiamo di continuare la nostra vita come abbiamo sempre fatto, perseguendo i nostri obiettivi e proseguendo anche con i nostri errori di comportamento. Perché non ci può essere apprendimento se non si sta attenti alla lezione. Soffocando il sintomo, le medicine impediscono il nostro percorso evolutivo. Ma in questa resistenza che opponiamo al vero cambiamento interiore, continuiamo ad accumulare ansia, stress e fatica. E dunque il disagio prima o poi si ripresenta.
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