Barbara Uderzo comincia negli anni ’90 un percorso di ricerca sui materiali, preziosi o alternativi. Lavora non solo i metalli – richiesti dall’industria del gioiello in cui lavora come consulente e progettista - ma anche legno, plastica, carta, cera e sostanze commestibili. Esplora gli aspetti della contemporaneità, spaziando da tecniche artigianali a tecnologie industriali. Le sue creazioni si dividono in grandi “famiglie” e nei primi anni 2000 arrivano i primi gioielli di food design che la fanno conoscere al pubblico durante le performance dal vivo: ci sono i bijoux-chocolat come la collana di cioccolato ricoperto in foglia d’oro commestibile che si fonde lentamente con il calore della pelle, i glucogioielli che regalano il piacere dolcemente profumato di indossare una collana rossa di marshmallows o un torchon di liquerizia pura, i free.zero fatti di neve e ghiaccio, recentemente evoluti nei free.zero.rubedo a base di vino rosso.
In parallelo a queste creazioni di grande impatto, ironiche e divertenti, il suo lavoro sulla materia viene esposto il gallerie prestigiose - alla Triennale di Milano e Bilbao, al Mart, al Museo delle Arti Decorative di Berlino, al Victoria & Albert Museum - e alcuni pezzi sono ospitati permanentemente nei principali musei del gioiello.
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Sei una designer che ha avuto molto successo con istallazioni di gioielli che tu stessa definisci “effimeri” ma il tuo mestiere supera l’arte concettuale.
I gioielli effimeri sono la quint’essenza dell’intuizione artistica e l’intuizione è all’origine di tutto. Detto questo, però, io sono una designer sostenuta dal know how dell'oreficeria. Le soluzioni innovative seguono le mie fantasie. Può capitare di vedere in giro cose molto "artistiche" che poi a livello pratico non hanno né confortabilità né vestibilità. Quindi tutto quello che creo, a modo suo, segue delle regole ben precise per essere portabile.
Tra i tuoi gioielli più celebri e fotografati ci sono i Blob Rings. Da dove scaturisce l’immaginario di questi anelli ipertrofici?
I Blob Rings esplorano il versante iconografico della cultura pop. Sono colate magmatiche di plastica colorata, sostenute da confortevoli fasce d'argento, che incorporano micro-oggetti (teiere, motociclette, animaletti, personaggi) con la capacità onnivora dell'entità da cui prendono il nome.
Il film cult con Steve McQueen del 1958…
Sono oggetti pazzi ed esuberanti che richiamano i miei personaggi feticcio, i cartoni animati, i fumetti. Raccolgo tutto quello che mi piace, tuttavia non utilizzo dei semplici objet trouvé: li modifico e rielaboro in funzione del risultato. Nonostante le loro dimensioni impegnative, sono anelli confortevoli perché sono concepiti con una forma ergonomica.
Una delle famiglie apparentemente più sobrie della tua produzione è costituita dalle catene che conservano tuttavia lo stile glam rock che ti appartiene.
Effettivamnete, accanto alla mia anima giocosa c’è quella rock. Tra tutte le collezioni, la catena l'ho intesa proprio come indagine sul mestiere dell'orafo in chiave moderna. Se vuoi affrontare seriamente il design del gioiello, devi cimentarti con la catena, il cui principio base è essenziale ma non banale: un anello si deve collega all'altro in una sequenza pensata. Sperimento con i metalli e le superfici. Utilizzo Argento, argento rodiato, rodio nero o rutenio, per ottenere pezzi che hanno come caratteristica la lavorazione manuale e l'impronta della mano o dell'arnese.
Dove ti stai dirigendo professionalmente?
Quando imposti un progetto, la vita ti impone d’essere ricettiva. Porsi un obiettivo in maniera aggressiva non è necessariamente il modo migliore per ottenere le cose: io preferisco la costanza. Una volta seminato – creato una collezione - continuo a lavorarci sopra per espanderla. Questa evoluzione non ha limiti temporali. Ad esempio i succulent ring – con le piante grasse - a distanza di anni sono diventati anelli creati a coppie con un lavoro sul legno. Talvolta è la richiesta a spingermi a riprendere in mano una vecchia creazione per farle fare un passo in avanti ma non ho sempre le idee chiare su quello facendo, perché sono un vulcano. Ho bisogno di sperimentare per andare dove non so ancora.
Parallelamente, sento la necessità di produrre pezzi più facili da portare - non solo forme esagerate che si identificano con la mia personalità - gioielli democratici, a prezzi contenuti che appartengono all'industrial design, oppure “multipli d'artista”, che pur non essendo pezzi unici hanno un apporto manuale importante.
Nella tua carriera hai svolto un’intensa attività didiattica: cosa consiglieresti a chi desidera intraprendere la professione di designer di gioielli?
È un mondo profondamente in crisi ma nonostante questo non bisogna essere negativi, perché il modo di lavorare continua a cambiare e nella vita la strada non mai dritta. Studiare design del gioiello può significare anche intraprendere attività correlate. Quando io sono uscita dall'Accademia di belle arti di Venezia, per me esisteva soprattutto l'arte esposta nei musei e quindi ho sempre avuto la propensione ad andare in quella direzione.
Adesso ci sono tante realtà che si mescolano tra loro, luoghi che hanno una funzione temporanea, non solo musei ma anche gallerie e negozi. Le mostre sono curate da figure professionali più eclettiche, più flessibili, che sanno gestire la materia in maniera più globale, rompendo i vecchi schemi. Un consiglio per me fondamentale è: se vuoi farlo, provaci. Usa le mani e prova a realizzare quello che hai in testa, perché l’esperienza pratica è l’unico mezzo infallibile per capire.
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