È trascorso più di qualche decennio da quando Anna Maria Prina è entrata per la prima volta alla Scuola della Scala. Ne è stata la direttrice fino al 2006 e poi – lasciando tutti di stucco – ha deciso per la pensione. Anna Maria Prina, oggi, è una settantenne instancabile ed elegante, che non ha mai smesso di guardare il mondo con stupore e che continua ad aver voglia di imparare, nonostante - nella sua lunga carriera cominciata alla Scala e passata anche per il Teatro Bolshoi di Mosca e il Teatro Marinskij di San Pietroburgo - abbia formato danzatori del calibro di Massimo Murru e Roberto Bolle.
Cosa fa una signora della danza, quando decide di ritirarsi? Le manca la vita di teatro?
Tutto sommato no, non mi manca particolarmente. Ci sono ballerine che per tutta la vita non rinunciano a un’ora di sbarra quotidiana – è molto bello vedere una persona anziana che continua a dedicarsi al proprio benessere fisico - ma a me questo aspetto non è mancato per nulla, forse anche perché non sono mai stata una étoile ma soprattutto una didatta.
Come si tiene in forma dopo una vita trascorsa danzando?
Frequento assiduamente delle lezioni di gyrotonic con signore della mia età! È l’allenamento funzionale che ho trovato più efficace per me stessa e per muovere tutte le articolazioni, per allungarle e distenderle, aspetto che è sempre più importante con il trascorrere degli anni.
Però non si è allontanata completamente dalla scena, nonostante lei voglia apparire una tranquilla signora che si è ritirata a vita privata.
È vero. Mi sono lanciata anima e corpo in un progetto teatrale di Michela Lucenti – Madame - andato in scena al Teatro Due di Parma. Era un progetto irresistibile. In “Madame” ho interpretato me stessa, evocando la mia vita quotidiana di ballerina, insegnante, direttrice. Poi, alla Triennale del Design, ho fatto da madrina a treD - Design, Danza, Disability, un genere di performance nuova con le coreografie di Stefania Ballone e la supervisione registica di Michela Lucenti. Tra musica dal vivo della violoncellista Julia Kent - in una alternanza di loops, suoni ambientali e tessiture elettroniche – ho accompagnato i solisti scaligeri Emanuela Montanari e Christian Fagetti e i danzatori abili e diversamente abili della Compagnia Dreamtime.
Si può pensare alla danza di un corpo che non sia perfetto come quello di un ballerino?
La danza è per prima cosa impatto emotivo. In treD, ad esempio, la precisione gestuale e l’armonia del danzatore classico hanno affiancato la poesia del gesto di un corpo disabile, creando un nuovo equilibrio che conduce lo spettatore alla scoperta di un nuovo design dell’anima. Si è trattato di un progetto di ricerca che coinvolge la spiritualità e la vera essenza dell’essere umano.
Lei è molto attenta alle dinamiche del corpo che cambia durante il corso della vita.
Ci sono situazioni adatte ad ogni età. A un certo punto bisogna anche convincersi che certe cose non si possono più fare, ma se alcune si smettono, si può continuare a farne altre. Ci sono mille modi per amare la danza ed è un bene coltivare l’attività che piace. Se da giovani, per diventare ballerini classici, bisogna per forza avere il corpo adatto, per amare la danza bisogna avere soprattutto dei maestri intelligenti e rispettosi del corpo.
Come si sviluppa lo studio della danza in base all’età?
Ai bambini piccoli si insegna solo a camminare, a tenere la pancia piatta e a controllare la lordosi. Dal punto di vista emotivo, la danza insegna la disciplina, a trovare il giusto posto nello spazio, a rispettare gli altri e a sentire la loro presenza.
Gli esercizi a terra, meno pericolosi e traumatici, servono a mettere il corpo nella condizione ideale e danno benessere fisico anche ai non ballerini. Questo aspetto è consigliato a tutti, indipendentemente dall’età.
Da adolescenti il corpo cambia. A 11-12 anni l’apprendimento è molto veloce ma i ragazzi entrano in crisi. Le femmine devono fare i conti con le forme che spuntano e che loro non vorrebbero. Le nuove generazioni sono più fortunate: le ragazze italiane sono diventate più alte e naturalmente esili e non dobbiamo più invidiare le linee infinite delle ballerine straniere. Durante la giovinezza si punta alla condizione fisica perfetta. In generale, in Italia c’è sempre stata poca cultura del corpo del ballerino, anche se le cose stanno cambiando rapidamente. Nella mia generazione Nureyev spiccava anche perché era molto virile. Ora i ragazzi hanno come esempio Bolle che è popolare come una rockstar e si mantiene come un atleta.
Cosa fare se si vuole continuare a danzare anche quando si fanno sentire i primi acciacchi?
Per me è importante non dire mai “ho smesso di fare questo” ma “sto facendo quest’altro”.
La danza, intesa come esercizio, può essere di grandissimo beneficio per mantenere l’elasticità del corpo e con essa la giovinezza. Tutti sappiamo però che può essere molto traumatica se insegnata male, sia per un bambino sia per una persona adulta, quindi è fondamentale affidarsi a guide preparate e scrupolose. Consiglio di trovare una buona scuola di danza dove ci sia la cultura della salvaguardia della salute fisica e psichica degli allievi. Dal punto di vista mentale, invece, la danza non ha età: è meraviglioso danzare ogni volta che si può.
La storia, la grazia e l’amore immenso per l’arte di questa signora della danza, con un meraviglioso archivio fotografico si trovano anche sul sito.
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