Il mobbing sul lavoro è un fenomeno, purtroppo, in crescita. Il termine indica tutti quei comportamenti messi in atto dal datore, da un superiore, da un collega nei confronti di un dipendente, che possano isolarlo, umiliarlo, vessarlo durante il lavoro. In pratica, sono tutti quegli atteggiamenti e quelle parole che possono rendere ogni nostra giornata lavorativa un vero e proprio inferno. Se si è vittima di mobbing al lavoro, cosa si deve fare?
Il mobbing sul lavoro è punibile in Italia, perché rappresenta un danno psicologico e chi mette in campo questi comportamenti è tenuto a risarcire il danno. Al datore di lavoro spetta il compito di vigilare sui suoi dipendenti, affinché non avvengano situazioni di questo tipo, e di tutelare sul benessere psicofisico di ogni lavoratore. Il mobbing, per essere giuridicamente perseguibile, deve essersi manifestato con diverse vessazioni o violenze, anche di tipo morale e psicologico, per lungo tempo e con l'unico scopo di causare problemi al lavoratore. Si parla di mobbing quando le azioni sono durate per 6 mesi o più o di quick mobbing quando sono durate 3 mesi.
Se si è vittima di mobbing, gli esperti consigliano di non lasciar correre, ma di agire per far valere i propri diritti e per fare in modo che nessun altro debba più subire quello che si è provato sulla propria pelle. Nel dettaglio bisognerebbe raccogliere delle prove, come le registrazioni delle conversazioni avute, le testimonianze di colleghi o altre persone presenti, la conservazione di tutte le mail e i messaggi scambiati con chi ha fatto mobbing. Può essere utile anche contattare un medico, che possa attestare i danni subiti dal punto di vista fisico e psicologico. Mai rimanere in silenzio: degli abusi bisogna parlarne, con colleghi, amici, famigliari, psicologi e anche con un avvocato. Infine, mai dare le dimissioni, perché in questo modo potrebbe essere più complicato ottenere un risarcimento.
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