Adele Teodoro è una ginecologa conosciuta, una donna calorosa ed estroversa, dotata di talento comunicativo non comune. Napoletana trapiantata a Milano, da anni è sul campo in ambito sociale con un progetto importante: dare accesso alle donne meno facilitate, perché chiuse in carcere, a uno screening preventivo. Grazie alla sua determinazione e dopo anni di lavoro nelle carceri di Genova e Milano, il suo progetto è stato recepito da AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri Italiani) che - in collaborazione con la Onlus Associazione Gravidanza Gaia di cui è presidente – offrirà alle detenute la possibilità di sottoporsi a uno screening ginecologico gratuito e creerà una rete di ginecologi volontari che si affiancherà all’attività sanitaria già presente nelle carceri italiane. L'impegno nei confronti delle donne le hanno valso il conferimento d'importanti riconoscimenti come quello di Cavaliere al Merito dal Presidente Napolitano e l'Ambrogino d'Oro. Lei – che più di tutto ama far nascere i bambini – è la persona giusta per raccontarti l'importanza della prevenzione nel campo della salute femminile e perché si dovrebbe fare di più.
Quali sono gli aspetti della salute della donna su cui bisognerebbe investire maggiormente?
A partire dall'infanzia, bisogna focalizzarsi sull'igiene intima delle bambine. L'adolescenza, invece, è un interregno in cui bisognerebbe cominciare con la prevenzione vera e propria. Dalle scuole medie dovrebbero essere introdotte – con molta delicatezza – delle tematiche fondamentali come l'educazione sessuale, la trasmissione delle malattie e anche la prevenzione della violenza sulle donne. Più avanti arriva la tutela della maternità ma è strettamente connessa alla prevenzione fatta in precedenza.
Sono molte le donne italiane che non hanno accesso alla prevenzione?
Nonostante sia una mission del Ministero della Salute, per l'informazione e la prevenzione si può fare di più e continuare ad allargare lo screening sulla popolazione femminile per preservare la sfera genitale. La popolazione carceraria è tipicamente a rischio eppure in carcere non si fa nulla, mentre sarebbero necessarie visite a tappeto.
Com'è cominciato il volontariato in carcere?
Ho sempre desiderato fare volontariato per andare al di là della professione. Mi volevo sporcare le mani rendendomi utile anche con chi non poteva permettersi una visita specialistica, in particolar modo alle donne che la vita aveva ferito nella propria femminilità. Conoscevo la direttrice del carcere di Pontedecimo, una donna illuminata. Dopo aver visitato il carcere, ho chiesto come potevo essere utile. Mancava tutto. Le attività servivano a far uscire le donne dalla propria cella, a educarle sulla sfera genitale, a stimolarle perché si prendessero cura di se stesse. È diventato un progetto sociale che ha oltrepassato le nostre intenzioni. Ognuna ha messo le proprie competenze e abbiamo messo a punto un protocollo che ora potrà essere applicato anche nel progetto supportato da AOGOI su scala nazionale.
Quali sono state le difficoltà nel portare avanti il progetto di prevenzione tra le detenute?
Gli ostacoli maggiori sono quelli burocratici, non esiste mai il problema umano. Io parto sempre da un incontro informativo: Serve a creare consapevolezza nelle donne e a non subire passivamente la visita. È un momento in cui si forma un legame con l'esterno. Il semplice controllo ginecologico – uguale a quello a cui tutte le donne dovrebbero sottoporsi - fa entrare la società civile in carcere. Io non faccio parte dell'amministrazione per molte di loro venire da me significa dire a se stesse che ce la stanno mettendo tutta per recuperare. Ora AOGOI sosterrà i costi del progetto sul territorio nazionale, a costo zero sul sistema sanitario nazionale. Io farò il coordinamento rimanendo fissa fisicamente a Genova: mi sono affezionata alle ragazze. Sul territorio saranno gestite le ginecologhe volontarie con il patrocino del Ministero della Salute e della Giustizia. Sarà necessario un grande lavoro di censimento degli spazi nelle carceri e verificare la disponibilità di strumentazione. La prima volta, a Pontedecimo, mi ero procurata tutto da sola.
Ricordiamo che la campagna per il primo Fertility Day nell'autunno 2016 scatenò polemiche a non finire. A posteriori, ci sono stati risultati positivi?
In quella circostanza, la comunicazione è stata talmente aberrante – nonostante le intenzioni fossero ottime e condivisibili – che le donne si sono trovate tutte compatte nel trovarlo irritante. Sono poche le donne che rinunciano alla maternità, a meno che ci siano delle difficoltà reali. Non esistono solo i problemi clinici ma anche quelli sociali. A quarant'anni si è già primipare attempate ma senza certezze economiche spesso non ci si può permettere un figlio, né prima né dopo. Questo nodo può essere sciolto solo a livello politico e con l'intervento dello Stato. A ciò si aggiunge l'altra metà della mela: una volta trovato il fecondatore bisogna vedere se è in buona salute. Quando si parla di sterilità infatti, si parla sempre di sterilità di coppia. Anche gli uomini invecchiano ma non fanno i controlli annuali che facciamo noi. La loro salute impatta al 50% e anche loro avrebbero molto bisogno di prevenzione e maggiore educazione alla salute.
Condividi