Se conosci già i romanzi di Chiara Moscardelli, il primo consiglio è cercare sulla sua pagina il prossimo evento vicino a te in cui presenterà i sui libri: la verve ironica che riversa nei sui libri è direttamente proporzionale a quella dell'autrice, che gioca a svelare quanto di sè c'è in Agata, Penelope e le altre sue eroine stralunate e strampalate, piene di complessi e votate alla singletudine.
Non a caso, infatti, il punto di riferimento cinematografico di Chiara è Woody Allen, il re dell'autoironia, colui che è riuscito a trasformare i blocchi emotivi in co-protagonisti delle sue commedie.
A partire da "Volevo essere una gatta morta", il primo fortunatissimo romanzo recentemente ristampato in edizione tascabile – evento più unico che raro per un prodotto editoriale prettamente femminile – Chiara ha ridefinito il genere chick lit. Con lei, la "lettura per pollastrelle" tinta di rosa si è trasformata in una spassosa e originale accozzaglia di avventure romantiche, thriller e giallo psicologico.
Com'è nato "Volevo essere una gatta morta"? È la tua prima strizzata d'occhio al genere rosa, da cui ti allontani grazie all'ironia.
Il primo romanzo è partito da un'autobiografia. Volevo raccontare tutte le mie disavventure ma non pensavo sarebbero interessate a qualcuno, quindi l'ho scritto per riordinare i pensieri. Ero andata a vivere da sola, a Roma. Ma avevo fatto male i conti e una volta pagato l'affitto, praticamente facevo la fame. La vita meravigliosa che mi aspettavo dov'era? Mentre le mie amiche uscivano – a trent'anni mi sognavo shopping, uomini e feste – io ero chiusa in casa, lasciando il riscaldamento spento per risparmiare. Quindi anziché guardare le telenovelas e piangere da sola, mi sono messa a scrivere. Non pensavo di fare la scrittrice, perché lavorando già in ambito editoriale odiavo indistintamente tutti gli scrittori perché sono degli egocentrici. Prima di pubblicare "Volevo essere una gatta morta" ho dovuto far leggere le bozze a mia madre, perché c'erano scritte cose che lei ignorava. L'ho trovata in lacrime e mi ha detto: "figlia mia hai avuto una vita tristissima" anche se l'effetto doveva essere divertente. Al secondo romanzo "La vita non è un film", non volevo abbandonare il personaggio di Chiara perché era piaciuto, quindi le ho dato un'opportunità. A questo punto però la trama è diventata fittizia e la Moscardelli dei libri ha persino un incontro con un serial killer a uno speed date.
Anche Agata Trambusti, la protagonista del tuo ultimo romanzo "Volevo solo andare a letto presto" ti assomiglia?
Agata non mi assomiglia per niente a parte una caratteristica: un blocco emotivo che la perseguita. Una serie di difficoltà sentimentali derivate dall'essere cresciute senza padre. Mentre scrivevo "Volevo solo andare a letto presto" andavo in analisi e lo psicoanalista mi diceva che ogni vita crea dolore, sia che si abbia avuto una mamma sessantottina come Agata o asburgica come la mia.
Tipicamente le mie protagoniste hanno paura di buttarsi, hanno paura di soffrire, hanno paura di affrontare la vita perché innamorarsi è rischioso. Se fosse per loro, rimarrebbero per sempre nel loro stato di disperazione, perché nonostante tutto è calmo e rassicurante. "Volevo andare a letto presto" è il titolo simbolico della vita regolarissima che Agata vorrebbe avere ma il cambiamento avviene dall'esterno, l'avventura parte e non si può più interrompere.
Se i tuoi romanzi fossero film, chi dovremmo immaginare nei panni dei protagonisti maschili?
Questo è facile! Per ogni personaggio maschile, anche mentre scrivo, penso sempre a ideali estetici come Alessandro Preziosi o Guido Caprino.
In "Volevo essere una gatta morta" compare il tuo primo personaggio ipocondriaco. Questa psicosi è un topic nei tuoi romanzi, perché?
Matelda è ipocondriaca ed è meravigliosamente divertente. Attirare l'attenzione con malattie fantomatiche è un modo di auto-coccolarsi ed è uno dei segnali della paura di affrontare la vita, altro tema ricorrente nei miei romanzi. L'ipocondriaco è destinato ad essere sano come un pesce. A Matelda succedono le cose più assurde che possano accadere ad un essere umano, mentre Agata è già più cosciente del problema e in qualche modo cerca di contrastarlo.
Pensi che alle donne piaccia particolarmente considerarsi bisognose di cure?
Tutte noi vogliamo esser accudite e coccolate ma la gatta morta e la regina delle esigenze, spingendole fino a bloccare la libertà dell'altro. In fondo siamo tutte un po' gatte morte. Dovremmo vederci più belle e essere più fiduciose. Cresciamo credendo che l'erba del vicino sia sempre più verde ma camperemmo meglio se desiderassimo solo ciò che riusciamo ad avere
Credi che le ragazze di oggi soffrano ancora delle aspettative sociali di cui sono state vittime le nostre mamme? Le tue protagoniste si tormentano perché sono zitelle. Penelope si pone il dubbio: "Ero cresciuta convinta che la felicità derivasse esclusivamente dall’avere o meno un uomo accanto. Come la storia della mela. - invece non è così?"
Dal mio punto di vista non c'è stata la vera rivoluzione femminista. Nell'immaginario comune, la vita perfetta è ancora quella che avevano come obiettivo i genitori. Se così non fosse, non ci sarebbe questa specie di accanimento terapeutico per avere figli a 50 anni. La prima cosa che si chiede a una donna e ancora quella. Siamo ancora quella roba lì e non c'è niente da fare. Ormai per chiudere in fretta il discorso dico che sono vedova, perché se sanno che sei single ti massacrano.
Le donne intelligenti si sentono sole? Le tue protagoniste dicono di soffrire ad essere single ma in realtà sono donne che non si accontentano.
Si sentono sole e abbandonate a loro stesse. Qualche volta l'intelligenza non serve a superare i blocchi. Se sei risolta forse non hai questo problema ma se emotivamente non hai percezione del tuo valore – come Agata che si sottovaluta e ha una percezione distorta di sé – la solitudine punge. Le protagoniste – ma tutti i personaggi in genere dei miei romanzi – non sono quello che sembrano perché i miei non sono romanzi rosa, voglio creare suspense e mistero.
Le donne intelligenti, inoltre, sono anche ironiche e l'ironia agli uomini piace poco, quindi rimanere zitelle è questione un attimo, mentre le gatte morte non rimangono mai sole.
Condividi