Daniela Cicioni, specializzata in alta cucina a base vegetale, da alcuni anni è una delle presenze attese all'ormai celebre convegno gastronomico Identità Golose Milano. Seguita da tanti colleghi per la spiccata sensibilità estetica derivata da studi di architettura, Daniela è una donna che crede profondamente nell'innovazione e nel lavoro di ricerca sulle materie prime, per trovare nuovi sapori e consistenze nel campo dell'alta cucina a base vegetale. Come puoi vedere nella gallery o seguendo il suo profilo Instagram, i suoi piatti hanno la capacità di incantare lo sguardo, con composizioni piene di fiori colori e delicatezza, perché il cibo – che è qualcosa di necessario - deve fare bene ma che deve anche essere appetibile e intellettualmente appagante.
C'è un interesse crescente nei confronti dell'alimentazione naturale?
Ho l’impressione che la stampa le stia prestando ancora poca attenzione rispetto alla reale curiosità del pubblico. Tuttavia, nel giro di 2 o 3 anni, c'è stata una crescita esponenziale e mi aspetto di vedere a breve ancora più voglia di scoprire il nuovo che avanza. A volte penso che ci sia una resistenza inconsapevole nei confronti della cucina totalmente vegetale. Forse è una prospettiva poco rassicurante per chi pensa di dover rinunciare alla fettina di carne quotidiana.
Si tratta di una moda o di una presa di coscienza?
Io mi occupo di formazione e posso dire che tra i miei allievi c'è una fetta – diciamo il 30% - di cuochi giovani e coscienti, mentre il restante 70% è composto da persone che vogliono approcciare il mondo della ristorazione per vie traverse o in maniera non tradizionale. In questa fascia ci sono coloro che vedono con chiarezza la fetta di mercato da conquistare e approfondiscono il tema della cucina naturale per un semplice calcolo economico: vogliono essere pronti a soddisfare la richiesta.
Come si fa a imparare a cucinare e nutrirsi diversamente?
Per avvicinarsi alla cucina vegana e crudista è fondamentale una buona documentazione. È possibile trovare molto materiale anche in internet, proveniente soprattutto dal mondo anglosassone. Siamo abituati ad assumere abitualmente cibi molto concentrati, mentre il rischio del crudismo e dell'alimentazione vegana - affrontata senza preparazione - è quello di mettere a repentaglio l’equilibrio nutrizionale.
È difficile tecnicamente?
La tecnica è al servizio di una filosofia di vita; il gusto del cibo è il frutto di un’armonizzazione tra la necessità di nutrirsi in maniera sana e il piacere di farlo nel modo più interessante e stimolante possibile.
Gli strumenti necessari non sono moltissimi, non sono complicati da usare e hanno costi relativamente bassi. Fondamentalmente, per preparare piatti interessanti basta investire in un frullatore molto potente, in una centrifuga o in un estrattore, in un essiccatore e in una mandolina che serve a creare forme e consistenze particolari.
Per quanto mi riguarda, la cottura non è da demonizzare sempre e comunque: ne esistono tanti tipi e non tutti impoveriscono l’alimento. Non dobbiamo dimenticarci che non abbiamo il clima della California e che scaldare è necessario al benessere, soprattutto quando le temperature esterne sono rigide.
I costi di un’alimentazione naturale possono essere un deterrente alla sua diffusione?
Nell'alta cucina naturale gli ingredienti costosi non sono poi moltissimi ma alcuni sono difficili da trovare: bisogna ordinarli da paesi lontani e i prezzi lievitano. Nella cucina di tutti giorni, invece, la differenza non dovrebbe essere tale da costituire un problema, soprattutto se si è già abituati a cercare alimenti della migliore qualità possibile. È ovvio che - rispetto alla spesa alla quale possiamo essere abituati in un negozio della grande distribuzione - la spesa aumenta ma l’investimento più grosso è il tempo. La cucina naturale richiede organizzazione e programmazione, alcune lavorazioni sono lunghe da eseguire e bisogna avere pazienza.
Il "fattore moda"- cui abbiamo accennato - influisce sul prezzo quando si tratta di prodotti dedicati a catene specializzate che hanno come target una clientela con un'alta capacità di spesa: a volte vedo scontrini fuori da qualsiasi logica. Un'altra moda che ha fatto impennare i prezzi è quella dei cosiddetti super-food. La logica mi avrebbe portato a pensare che negli ultimi anni i prezzi si sarebbero abbattuti e invece non è così, per una questione di marketing, non di qualità.
Dove ti ha portato la ricerca?
Sono anni che studio le fermentazioni e le muffe. Sto applicando queste ultime alla produzione dei cosiddetti "formaggi vegetali". Il risultato è stato mettere in produzione su scala industriale la formula più semplice di un fermentino a base di mandorle e anacardi che abbiamo chiamato "Cicioni". Sto facendo esperimenti con varie muffe nobili e mi piacerebbe riuscire a mettere in produzione qualcosa di simile al Camembert e al Roquefort.
Senti la necessità di modificare il linguaggio, dal momento che quello che crei ha poco o nulla a che vedere con le categorie classiche della gastronomia?
Ci ho pensato tanto e ci sto provando. Non ha senso chiamare formaggio o salame, cibo che non ha niente a che vedere con quei prodotti, anche la legge è molto chiara a riguardo ma è complicatissimo. Nella cucina naturale, in realtà, non si cercano ‘sostituti di’ perché alla base di tutto c'è una teoria nutrizionale completamente diversa – così come non ha senso creare versioni vegane di ricette che hanno storicamente un'identità precisa, come il tiramisù - eppure non rifarsi al linguaggio comprensibile da tutti sembra una battaglia persa.
Se faccio una "panna di mandorle" che accompagnare un dessert, so che al suo interno non c'è nemmeno un grammo di latte; se produco i miei fermentini, sono consapevole che non sono formaggi ma la comunicazione diventa faticosa come insegnare la tua lingua a uno straniero.
Che regole consigli di seguire per creare un piatto bello come uno dei tuoi?
Si impara molto dalle proprio esperienze esterne. Conosco cuochi che hanno un interesse personale nelle arti visive e questo si riflette nel loro lavoro.
Consiglio sempre di non riempire troppo il piatto e ragionare sulle quantità, in modo che una bella composizione sia anche una porzione adeguata, non troppo abbondante o troppo poco. Non usare troppi colori, sono difficili da padroneggiare e possono dare un aspetto troppo disordinato. Al contrario, il monocolore rischia di avere un aspetto povero se non si studiano attentamente le forme e le consistenze. Un bell'impiattamento comunica armonia ed emoziona la persona che vuole mangiare.
Cosa ne pensi della diffusione sui social delle fotografie di cibo?
Io devo molto ai social, la mia comunicazione passa soprattutto da lì. Il rovescio della medaglia è che l'abitudine collettiva di fotografare i piatti ha fatto alzare a dismisura l'asticella delle aspettative. Fino a qualche anno fa ci si poteva permettere di preparare un piatto ottimo ma non necessariamente perfetto dal punto di vista estetico, mentre oggi l'aspetto rischia di essere preponderante. Presentazione e sapore devono andare di pari passo, evitando complicazioni e barocchismi inutili.
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