Da dove è venuta l’idea di Art Stories?
Nel 2014, eravamo entrambe alle prese con bambini piccoli. Stavamo discutendo su un bando per la valorizzazione dei Bronzi di Race e sulle strategie per accedere l’interesse del pubblico verso il nostro patrimonio culturale, quando abbiamo cominciato a chiacchierare oziosamente su un’idea: app per famiglie che raccontassero la bellezza e la storia. Ci sembrava bellissimo avere qualcosa per giocare e scoprire il mondo. Così abbiamo creato la prima app sul Castello Sforzesco, che ha ricevuto critiche così positive da perseverare.
Come si è sviluppata la startup?
Nel 2015, Art Stories è diventata a tutti gli effetti una società editrice digitale che sviluppa app educative per i beni culturali. Da allora, abbiamo sviluppato 11 prodotti, specializzandoci in due linee di business: le app in vendita ai singoli - che puoi trovare negli store come iTunes - e lo sviluppo di prodotti su commissione per Enti che si vogliono rivolgere ai privati (come il Muba con MUBApp, il Comune di Milano con Palazzo Marino Kids o la Provincia di Bolzano con Arte Sport)
Quali sono le finalità di gioco delle app?
Possono essere strumenti di ausilio alla visita di un museo o di un monumento – in questo caso, accompagnano genitori e bambini alla scoperta di un tesoro culturale, utilizzando strategie di narrazione divertenti e interessanti – oppure possono essere veri e propri videogiochi che hanno come oggetto le città. Da bambino, giocando, impari nozioni microscopiche che poi ritornano.
L’ultima app, ad esempio, si chiama Wonders e parla delle meraviglie del mondo; siamo riuscite a mettere conciliare contenuti e una dinamica giocosa particolarmente complessa. Per la p rima volta abbiamo scelto di far accedere alle informazioni solo chi è stato veramente molto bravo nel gioco; abbiamo capito che applicare il sistema della ricompensa funziona anche con i nostri contenuti, perché un bambino che si è sudato il risultato sarà felicissimo di leggere una pagina di storia, se quello è il suo premio.
Com’è composta la squadra di Art Stories?
Oltre a noi due – che ci occupiamo di trovare le idee, fare le ricerche e scegliamo il taglio editoriale - c’è un game designer che funge da figura di collegamento tra il nostro approccio umanistico e la definizione del prodotto, mette insieme le logiche di gioco e parla con lo sviluppatore. Generalmente lavoriamo con illustratrici ma stiamo ancora cercando disperatamente una sviluppatrice femmina, perché lavorare in un team di sole donne ci piace tantissimo, è molto più divertente.
Che problemi dovete affrontare quotidianamente?
Per prima cosa, trovare lavori su commissione e vendere le app al pubblico. Dobbiamo essere visibili sui canali di distribuzione e fare sì che i genitori ci scelgano, quindi siamo alla costante ricerca di soldi per parci pubblicità. Siamo un prodotto di nicchia: non sono in molti a interrogarsi sul perché tutti – grandi e piccoli - dovrebbero intendersi di storia e d’arte. Nel mondo, le scuole che garantiscono l’istruzione migliore insegnano soft sciences; da noi alcune materie importantissime sono in costante dismissione, in controtendenza rispetto a chi si è già reso conto del valore della cosiddetta “cultura umanistica”. Infine, cerchiamo investitori: per sviluppare una buona app servono 30-50mila euro e normalmente non abbiamo enormi margini di profitto.
Che soddisfazioni vi ha dato la startup?
Facciamo cose che ci piacciono: la soddisfazione va di pari passo con perenne frustrazione di fare meglio. Lavoriamo in un ambito vitale e siamo a contatto con interlocutori interessanti. Ci gasiamo quando Apple dice che siamo state le più brave e mette Art Stories in primo piano; siamo felici quando i bambini ci fanno osservazioni e ultimamente ci ha mandato in visibilio il fatto che Wonders abbia ricevuto la menzione d'onore nella categoria non fiction al Digital Ehon Award, in Giappone.
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