Eri destinata ad essere una designer di gioielli?
Solo parzialmente! I miei genitori (Bruno e Maria Ester Piaserico) fondarono una società nel 1986, volta semplicemente alla compravendita di argento all’ingrosso e di bijou unbranded. Mio padre era fieramente determinato a portare avanti l’attività solo fino alla pensione e contestualmente spingere con risolutezza me e mio fratello a intraprendere carriere totalmente estranee all’attività di famiglia. Per un po’ abbiamo fatto entrambi come desiderava. Mi sono laureata in giurisprudenza e sono stata lontana ma non ero completamente soddisfatta. Nel 2002 sono tornata a Vicenza e ho lottato contro un vero e proprio mobbing paterno. Mi metteva a fare qualsiasi cosa - dalla centralinista alle fotocopie pur di farmi stufare e desistere – ma ho conosciuto un modellista molto bravo a cui ho chiesto di realizzare qualcosa per me, su mio disegno. Mia madre, pragmaticamente, ha pensato fosse il caso di ammortizzare i costi del mio passatempo portando a VicenzaOro i miei prototipi. Così è nato Misis.
Quand’è nata l’idea di una linea di gioielli per la casa?
Il 2017 è stato un anno cruciale, alcuni miei pezzi hanno conquistano dal cinema (una sua collana è indossata da Emma Roberts N.d.A.), una collezione è stata esposta alla Triennale di Milano e a Seoul nel Museo di Zaha Hadid. Ho tenuto lezioni di marketing con il Professore Romano Cappellari all’Università di Padova e ho pensato a una contaminazione tra gioielli e accessori moda come le borse. Nello stesso anno, però, ho anche lasciato la conduzione aziendale a mio fratello e mi sono dedicata a creare qualcosa di esclusivamente mio.
Da che filosofia parte Utifelix?
Volevo evitare di essere la fotocopia di me stessa e ho ragionato per mesi su quale percorso intraprendere. Da qualche anno ho cominciato a lavorare sulla tavola; la convivialità per me è un momento di gioia, in cui bisogna cercare l’atmosfera giusta. Mi sono detta: perché non riportare il gioiello in tavola come ai tempi della saliera di Cellini o delle uova di Fabergé? Non si trova un gioiello da mettere in tavola e non volevo creare una linea completa di posate o ceramiche bensì oggetti che facessero esclamare: “Wow!”. Ogni gioiello entra in scena come dettaglio particolare e ricercato, conferendole originalità, eleganza e creando una suggestione.
Con chi ha scelto di collaborare?
Innanzitutto con Tiziana Busato, archeologa e docente di galateo internazionale: lei ci fornisce tutti gli elementi culturali fondamentali per adattarci alle tavole del mondo, guidandoci in un percorso di conoscenza storica dell’art de table. Ad esempio, in Arabia può servire il cucchiaio grande e l’acquamanile, mentre in Cina il sale e il pepe non si portano a tavola. Le sue storie, inoltre, ci hanno portato a selezionare determinati oggetti legati alla tradizione occidentale, come le bottiglie, una zuccheriera e una forchetta.
Il nome Utifelix deriva da queste narrazioni storiche?
Esattamente. Uti felix – affinché tu sia felice, in latino – è spuntato fuori dal celebre tesoro di Hoxne, conservato al British Museum. Si tratta di un forziere in rovere del IV-V secolo – forse il dono di uno sposo a una sposa – che oltre a monete e gioielli, conteneva monili d’argento per la tavola, cucchiai, pepiere, piatti. Desidero che Utifelix sia un ambasciatore culturale, che faccia riaffiorare in maniera semplice le storie legate al galateo, ad esempio, far riscoprire che il cucchiaino regalato dal padrino al momento del battesimo è un simbolo di presa in carico della responsabilità: significa “io ti sfamerò”.
Qual è stato il primo pezzo da cui sei partita?
Semplicemente dalla forchetta: una volta era un gioiello e ho pensato di ripartire da lì, da una posata a tre rebbi di cui è impossibile non notare la presenza, indipendentemente dallo stile della tavola. Si infila semplicemente in mezzo alle altre posate. Tutti i pezzi sono realizzati uno ad uno da un’azienda orafa italiana nelle parti in oro, argento o platino e da un mastro vetraio veneto per le porzioni in vetro.
Il maestro vetraio è nientemeno che Massimo Lunardon.
Lui è particolarmente abile con il mondo marino, un immaginario che è sempre stato nel mio DNA. Sue le bottiglie e il polpo in vetro soffiato impalpabile e leggero su cui abbiamo costruito il pezzo superiore in argento e smalto.
A che tipo di clientela ti rivolgi?
È un progetto trasversale che mi ha portato a toccare tutti gli ambienti in cui si fa particolare attenzione all’ospitalità e all’interior design; mi rivolgo non solo a chi arreda lussuose dimore private ma anche yacht, hotel di lusso, ristoranti stellati e ovunque si senta il bisogno di bellezza e sfarzo di buon gusto. Con Utifelix, inoltre, posso creare progetti su misura appoggiandomi a produttori di gioielleria vicentini, tra i migliori del mondo.
Cosa sogni per Utifelix?
Nel mio immaginario, Utifelix ha un catalogo infinito. Di cose belle al mondo ce ne sono tante ma voglio portare avanti l’aspetto di progettualità su disegno, che può essere adattato alle esigenze del cliente. Il brand vuole essere ambasciatore di cultura e contribuire alla crescita del territorio vicentino.
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