Marta Bevacqua, trentenne originaria di Frascati, da alcuni anni si è trasferita a Parigi, scelta che ha determinato la sua fortuna come fashion photographer. Basta uno sguardo al suo frequentatissimo profilo Instagram per capire che nelle sue foto di moda c’è qualcosa di particolare, difficile da dimenticare.
Come hai cominciato e quali difficoltà hai affrontato all’inizio della tua carriera?
Ho cominciato mentre ero ancora al liceo, come autodidatta con una vecchia macchina fotografica. Ho cominciato l’università ma entro il primo anno ho capito che non faceva per me, volevo fare la fotografa. Ho cominciato a fare book per le scuole di recitazione e canto; poi - per puro caso - un’amica designer mi ha chiesto di fotografare la sua collezione. Ho capito che la fotografia di moda era una cosa che mi piaceva ma all’inizio le difficoltà sono state tantissime. Non avevo contatti, niente di niente. In Italia o lavori sulla piazza milanese o c’è molto poco, quindi ho fatto avanti e indietro tra Roma e Milano per un paio d’anni fino a quando, nel 2014, ho deciso di puntare a Parigi. Nel frattempo, avevo frequentato un corso breve di fashion photography alla Centra Saint Martins a Londra che mi aveva dato forza.
Avevi un piano?
Il piano era “vado a Parigi e vedo com’è”. Poi ho trovato più di quello che stavo cercando.
Quanto ti riconosci nella definizione di fashion photographer?
Tanto e poco. Al punto di vista delle agenzie, le mie foto per le agenzie a volte sono troppo artistiche e non rispecchiano i canoni della moda classica. In compenso, mi rendo conto che ho un “approccio moda” nei progetti personali. Sono un po’ in un limbo. La mia organizzazione – per cui mi ha aiutata molto anche la scuola londinese - è tipica della fotografia di moda ma le mie foto non sono molto commerciali, nel senso tradizionale del termine. Paradossalmente, alla mia agenzia pariginava propriobene questo mentre io ci sto lavorando su.
Cosa caratterizza il tuo stile?
Uso solo luce naturale e anche quando scatto in studio, cerco di farlo in daylight, con poco riflettente e la luce disponibile. Uso sempre 50 mm e pochissimo 35 mm. Viaggio con un’attrezzatura molto leggera e il sole. Il mio stile è molto naturale e intimo, a tratti onirico. Mi piace l’idea di raccontare storie attraverso le espressioni e gestualità della modella, come se lei agisse nel suo mondo e noi la spiassimo.
In cosa credi di essere differente?
Ad esempio, le modelle che scelgo sonosempre un po’ strane. Quando sono troppo belle, ho quasi dei problemi. Quando affronto il ritratto, cerco sempre che le espressioni non siano “posate” e statiche; persino nella fotografia di beauty classica, cerco di trovare un’attitudine più coinvolgente e particolare, mai piatta.
Come riesci a conciliare la necessità di produrre immagini commerciali e la voglia di sperimentazione?
È molto difficile, perché se ti chiedono di fotografare un abito, quell’abito si deve vedere. Cerco di alternare il lavoro - che deve forzosamente seguire dei canoni - e i progetti personali, completamente liberi. Il processo creativo è elaborato e per ottenere quello che hai in testa ci vuole una lunga preparazione preventiva. L’ideale è quando un cliente ama il tuo stile e si fida del risultato, ma anche in questo caso la tua creatività non può venire prima delle sue necessità.
Le tue figure femminili hanno un che di fatato: fotografi prevalentemente ragazze?
Quando sono arrivata a Parigi, nei primi tempi fotografavo anche uomini ma non mi sentivo molto a mio agio, quindi ho deciso di concentrarmi sul femminile. Da qualche mese ci sto ripensando.
Che consigli daresti a chi seguire le tue orme?
Darei lo stesso consiglio che hanno dato a me: avere molta pazienzaperché la strada è lunghissima e non si vede mai la fine. Anzi, forse la fine non c’è. Bisogna fare tutti i gradini, uno per volta, dando il massimo. Non bisogna avere paura di partire, di sperimentare e di cambiare aria. Non ci vuole particolare coraggio e – soprattutto all’inizio – non si ha niente da perdere.
Un altro consiglio pratico è: prendi la tua macchina e fai almeno cinquanta scatti al giorno. Poi trova gente che ti piace con cui collaborare e non mollare fino a quando non riesci a fare cose belle.
Parigi: è la tua città ideale dove lavorare come fotografa di moda?
Non so come dovrebbe essere una città ideale ma mi trovo bene. Non so se casualmente sono stata aiutata dal mio stile ma, a Parigi, mi sembra siano più disponibili a concedere un’occasione ai giovani. A Milano è più difficile.
Quali sono gli errori da non fare nella tua professione?
Finalmente quando arriva la tua grande opportunità, non sbagliare! Bisogna essere sempre chiari, confrontarsi con il team, parlare con chi collabora con te e con il cliente in modo che non ci siano fraintendimenti.
Che progetti hai per il futuro?
A breve termine, ho in programma qualche viaggio in cui farò foto e porterò avanti progetti personali. Sto cercando di far evolvere il mio stile e voglio sperimentare per uscire dalla mia comfort zone. A lungo termine, vorrei dedicarmi di più al video.
Tra i progetti personali c’è anche tenere dei workshop?
Il prossimo sarà a Sidney ai primi di dicembre. I workshop sono rivolti a un gruppo di circa dieci persone e durano un paio di giorni. Affrontiamo tutti gli aspetti dell’organizzazione e realizzazione di un servizio di moda. In pratica, mostro il mio modo di lavorare.
Quanto è stata importante la diffusione della tua fotografia con i social network?
È stata fondamentale. Quando sono arrivata a Parigi, avevo già il mio profilo Instagram su cui sono sempre stata molto attiva. Mi ha permesso di avere visibilità. Il fatto di avere un alto numero di followers avrebbe un’importanza relativa se non fosse che – quando si tratta di scegliere tra me e un altro –il cliente ci fa caso. Ultimamente, anzi, i clienti, calcano molto su questo aspetto, sul fatto di essere presenti sul mio profilo o nelle stories.
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