La giornata contro la violenza sulle donne ribadisce la necessità di porre fine al dolore e alla prevaricazione. Le poesie possono dare voce proprio alla richiesta di rispetto, alla sofferenza e anche alla speranza: per la ricorrenza del 25 novembre, possiamo condividere e postare i versi o le frasi significative, non solo sui social come Facebook, Twitter, Instagram, ma anche tramite Whatsapp e simili.
Giornata contro la violenza sulle donne: 5 poesie che emozionano
Ecco i 5 componimenti da leggere e condividere per il 25 novembre:
Trovare la libertà di Wadia Samadi
Mi sveglio ogni mattina progettando la mia fuga
Ma che dire dei miei figli?
Chi mi crederà?
Chi mi darà una casa?
Passano gli anni e sto ancora aspettando
Quando finirà questo?
Il mio trucco non copre la mia faccia ammaccata
Il mio sorriso non nasconde il mio viso smunto
Eppure nessuno viene in aiuto
Dicono: andrà meglio
Dicono: non parlarne
Dicono: questo era il mio destino
Dicono: una donna deve tollerare
Non arieggiare i panni sporchi, dicono.
Quando finirà questo?
Ancora una volta, trascina il mio corpo sul pavimento
Mi soffoca e lo prego di non uccidermi
Ancora una volta, pretende il mio silenzio
Ancora una volta, mi dice che non merito di vivere
ne ho avuto abbastanza
non starò zitta
io vivrò
troverò la libertà
Questo finirà oggi.
Sei bella di Angelo de Pascalis
(erroneamente attribuita ad Alda Merini)
Sei bella.
E non per quel filo di trucco.
Sei bella per quanta vita ti è passata addosso,
per i sogni che hai dentro
e che non conosco.
Bella per tutte le volte che toccava a te,
ma avanti il prossimo.
Per le parole spese invano
e per quelle cercate lontano.
Per ogni lacrima scesa
e per quelle nascoste di notte
al chiaro di luna complice.
Per il sorriso che provi,
le attenzioni che non trovi,
per le emozioni che senti
e la speranza che inventi.
Sei bella semplicemente,
come un fiore raccolto in fretta,
come un dono inaspettato,
come uno sguardo rubato
o un abbraccio sentito.
Sei bella
e non importa che il mondo sappia,
sei bella davvero,
ma solo per chi ti sa guardare.
Io canto le donne di Alda Merini
Io canto le donne prevaricate dai bruti
la loro sana bellezza, la loro “non follia”
il canto di Giulia io canto riversa su un letto
la cantilena dei salmi, delle anime “mangiate”
il canto di Giulia aperto portava anime pesanti
la folgore di un codice umano disapprovato da Dio.
Canto quei pugni orrendi dati sui bianchi cristalli
il livido delle cosce, pugni in età adolescente
la pudicizia del grembo nudato per bramosia.
Canto la stalla ignuda entro cui è nato il “delitto”
la sfera di cristallo per una bocca “magata”.
Canto il seno di Bianca ormai reso vizzo dall’uomo
canto le sue gambe esigue divaricate sul letto
simile ad un corpo d’uomo era il suo corpo salino
ma gravido d’amore come in qualsiasi donna.
Canto Vita Bello che veniva aggredita dai bruti
buttata su un letticciolo, battuta con ferri pesanti
e tempeste d’insulti, io canto la sua non stagione
di donna vissuta all’ombra di questo grande sinistro
la sua patita misura, il caldo del suo grembo schiuso
canto la sua deflorazione su un letto di psichiatra,
canto il giovane imberbe che mi voleva salvare.
Canto i pungoli rostri di quegli spettrali infermieri
dove la mano dell’uomo fatta villosa e canina
sfiorava impunita le gote di delicate fanciulle
e le velate grazie toccate da mani villane.
Canto l’assurda violenza dell’ospedale del mare
dove la psichiatria giaceva in ceppi battuti
di tribunali di sogno, di tribunali sospetti.
Canto il sinistro ordine che ci imbrigliava la lingua
e un faro di marina che non conduceva al porto.
Canto il letto aderente che aveva lenzuola di garza
e il simbolo-dottore perennemente offeso
e il naso camuso e violento degli infermieri bastardi.
Canto la malagrazia del vento traverso una sbarra
canto la mia dimensione di donna strappata al suo unico amore
che impazzisce su un letto di verde fogliame di ortiche
canto la soluzione del tutto traverso un’unica strada
io canto il miserere di una straziante avventura
dove la mano scudiscio cercava gli inguini dolci.
Io canto l’impudicizia di quegli uomini rotti
alla lussuria del vento che violentava le donne.
Io canto i mille coltelli sul grembo di Vita Bello
calati da oscuri tendoni alla mercé di Caino
e canto il mio dolore d’esser fuggita al dolore
per la menzogna di vita
per via della poesia.
Ciò che indossavo di Mary Simmerling
Era questo:
a partire dall’alto
una maglietta bianca
di cotone
a manica corta
e girocollo
Questa era infilata
in una gonna di jeans
(anche quella di cotone)
che finiva appena sopra le ginocchia
e con una cintura in vita
Sotto tutto questo
c’era un reggiseno di cotone bianco
e mutande bianche
(anche se probabilmente non abbinate)
Ai miei piedi
scarpe da tennis bianche
il tipo di scarpe con cui giochi a tennis
e per finire
orecchini d’argento e lucidalabbra.
Questo è ciò che indossavo
quel giorno
quella notte
il quattro di luglio
del 1987.
Potreste chiedervi
perché è importante
o perché io mi ricordi
ogni capo di abbigliamento
con questa precisione
Vedete
mi hanno fatto questa domanda
molte volte
l’ho ricordato
molte volte
questa domanda
questa risposta
questi dettagli.
Ma la mia risposta
così attesa
così prevista
sembra piatta in qualche modo
visto il resto dei dettagli
di quella notte
durante la quale
ad un certo punto sono stata violentata.
E mi chiedo
quale risposta
quali dettagli
vi darebbero conforto
potrebbero darvi conforto
a voi
miei inquirenti
cercate conforto
laddove
ahimè
nessun conforto
può essere trovato.
Se solo fosse così semplice
se solo potessimo
mettere fine allo stupro
semplicemente cambiandoci d’abito
Ricordo anche
che cosa lui stesse indossando
quella notte
anche se
è vero
nessuno
me l’ha mai chiesto
In piedi signori davanti a una donna di William Jean Bertozzo
(erroneamente attribuita a Shakespeare)
In piedi,
in piedi, signori, davanti a una donna,
per tutte le violenze consumate su di lei,
per le umiliazioni che ha subito,
per quel suo corpo che avete sfruttato
per l’intelligenza che avete calpestato
per l’ignoranza in cui l’avete tenuta
per quella bocca che le avete tappato
per la sua libertà che le avete negato
per le ali che le avete tarpato
per tutto questo
in piedi, Signori, in piedi davanti a una Donna.
E se ancora non vi bastasse,
alzatevi in piedi ogni volta che lei vi guarda l’anima
perché lei la sa vedere
perché lei sa farla cantare.
In piedi, sempre in piedi,
quando lei entra nella stanza e tutto risuona d’amore
quando lei vi accarezza una lacrima,
come se foste suo figlio!
Quando se ne sta zitta
nasconde nel suo dolore
la sua voglia terribile di volare.
Non cercate di consolarla
quando tutto crolla attorno a lei.
No, basta soltanto che vi sediate accanto a lei,
e che aspettiate che il suo cuore plachi il battito
che il mondo torni tranquillo a girare
e allora vedrete che sarà lei la prima
ad allungarvi una mano e ad alzarvi da terra,
innalzandovi verso il cielo
verso quel cielo immenso
a cui appartiene la sua anima
e dal quale voi non la strapperete mai
per questo in piedi
in piedi
davanti a una donna.
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