Marta Ottaviani è la giornalista milanese che si è affermata come punto di riferimento per l'interpretazione delle notizie che provengono dalla Turchia. Da poco è uscito il suo ultimo libro "Il Reis. Come Erdogan ha cambiato la Turchia" (Textus Edizioni) che le è valso il premio FiuggiStoria - Inviato Speciale Gian Gaspare Napolitano.
Vale ancora la pena, oggi, coltivare il sogno di diventare giornalista?
La prima risposta che mi verrebbe spontanea è un no secco ma non sarei sincera. Dico sempre che il mio è un mestiere meraviglioso e lo rifarei altre cento volte.
Il problema della professione giornalistica, in questo momento, è che è diventata quantitativa e non qualitativa. I giornali hanno fatto tagli drastici negli organici e difficilmente sono disposti a investire in inviati. Molti colleghi, anche bravissimi, sono costretti dietro a una scrivania invece che girare il mondo a caccia di notizie.
Per entrare nel mondo del giornalismo, quali strategie suggeriresti?
Il mio consiglio ad una ragazza che volesse intraprendere la mia stessa strada, è quello di investire sulla propria istruzione e sull'apprendimento delle lingue. Più sono, meglio è. Se fosse possibile, comincerei prima possibile a fare esperienze di studio all'estero e nella scelta della facoltà universitaria punterei su quella di Economia.
Come sei arrivata a occuparti di Turchia?
Ho scelto la Turchia perché non se ne stava occupando nessuno. La Russia era troppo cara, mentre la Turchia stava entrando in Europa insieme a 74 milioni di mussulmani. Così, dopo l’Istituto per la Formazione al Giornalismo «Carlo De Martino», nel 2005 sono partita per Istanbul. Per prepararmi, ho cominciato a imparare il turco a Milano, con i corsi del Comune. MI sono trasferita a mie spese cominciando come ricercatrice universitaria e dormendo nei dormitori per studenti, sostanzialmente gratuiti. Istanbul in quegli anni era ancora a buon mercato. Mi sono trovata al posto giusto nel momento giusto.
Ho iniziato a scrivere per le principali testate italiane, a iniziare dall’agenzia stampa «Apcom». Oggi collaboro soprattutto con i quotidiani «Avvenire» e «La Stampa». Sono ancora l'unica giornalista italiana ad avere soggiornato in Turchia per così tanti anni.
Quali sono le difficoltà che incontra un giornalista e che bisogna mettere in conto?
Prima di tutto le difficoltà economiche. Da free-lance guadagni poco ed entrare stabilmente in una redazione è complicato, i posti sono pochi rispetto al numero di persone che vorrebbe fare questo lavoro. Gli spazi si stanno restringendo e la libera iniziativa non è incentivata.
Dal punto di vista umano, potresti ritrovarti a fare a quarant'anni la stessa vita che facevi a venticinque ed è una prospettiva logorante.
Cosa ti ha portato a scrivere "Il Reis"?
Quando sono arrivata in Turchia per la prima volta, il paese era musulmano ma con istituzioni laiche, era alleato storico dell'Occidente e candidato all'ingresso in Unione Europea. Le ragazze andavano in giro in minigonna, era un paese in cui si poteva vivere bene nonostante le tante contraddizioni culturali.
Nel giro di 15 anni ha subito una metamorfosi, è diventato un modello per l'affermazione dell'Islam politico e l'esempio più di successo di regime autoritario in Medio Oriente. Erdoğan - in un decennio - è diventato un autocrate con la benedizione e il consenso popolare, trasformando la Turchia di Mustafa Kemal Atatürk in un paese il più possibile a sua immagine e somiglianza. Grazie a fiuto e carisma ha messo sotto controllo in maniera capillare la società, l'economia e l'informazione. Il libro serve a ricordare che la Turchia era qualcosa di diverso e che la sua trasformazione avrà pesanti ricadute sull'Europa. Lo stesso Erdoğan gioca sul fatto che un turco che vive all'estero, per quanto integrato, sarà sempre un turco e quindi all'occorrenza lo sosterrà.
Chi ti segue sa che hai un rapporto speciale con i social media. Che importanza hanno per te?
Enorme! Sui media tradizionali è impossibile trovare uno spazio quotidiano di approfondimento. I lettori che mi seguono sanno che ogni giorno su Twitter ci sarà una notizia da fonte accreditata che riguarda la Turchia. Essere presente nei social media mi ha aiutato a costruirmi una credibilità professionale, anche internazionale, sugli argomenti di cui mi occupo.
Su Facebook lascio più spazio alle chiacchiere e se vogliamo anche all'approfondimento o al rapporto interpersonale con il lettore. Il vero eroe di Facebook è il mio gatto Erdogat – un gatto turco che ho raccolto randagio a 4 mesi e che ora pesa 8 chili - che si è persino meritato una fan page, in cui in realtà non si parla di felini ma di notizie legate al suo quasi-omonimo.
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