Scorri la gallery per scoprire meglio chi sono queste giovani donne creative, il loro lavoro e i loro pensieri. Tra le righe scoprirai un tesoro di spunti intelligenti per affrontare una professione artistica.
Perché hai scelto di fare l'illustratrice?
Sabrina Ferrero: non ho mai immaginato ci potesse essere un lavoro migliore di questo. Illustrare vuol dire creare un mondo partendo dalle piccole cose: dare un colore ben preciso a un racconto, inventarsi le facce, le espressioni e immaginare ogni suo angolo. Immaginare come sono fatte le case, gli animali, i bambini.
Eloisa Scichilone: Sono una disegnatrice per bisogno dell’anima, non posso immaginare la mia vita senza. Non ho mai ipotizzato altro oltre il disegno ma a un certo punto ho iniziato a insegnare Yoga e mi sono come divisa a metà. Per un po’ ho sofferto, pensando di dover fare una scelta, fino a quando non ho scoperto che potevo unire le due vie e disegnare di Yoga.
Cosa c'è di magico nel tuo lavoro?
Roberta Ragona: Il cliché dell'illustratrice con la testa fra le nuvole, che si nutre di rugiada e poesia, che vive in un mondo fatato lontano dalla realtà prosaica della vita ha fatto più danni della grandine. Però è innegabile che l'illustrazione condivida con altri lavori un aspetto magico, quello di portare nel mondo una cosa che prima non c'era, e quella cosa è il risultato del lavoro delle tue mani, della tua sensibilità e del tuo mondo. Vero è che questa cosa si può dire dell'illustrazione quanto dell'infornare una pagnotta particolarmente ben riuscita.
Come definiresti il tuo stile? Cosa lo caratterizza per renderti unica?
Sara Gironi Carnevale: Faticoso. Cercare di creare uno stile che ti rappresenti comprende un lavoro estenuante su se stessi e sul modo in cui si vuole parlare al mondo e al mercato. Mi piace pensare che ciò che colpisce maggiormente dei miei lavori siano le idee con cui rappresento temi un po’ ostici: diritti umani, razzismo, femminismo. Per me, che ho scelto questo mestiere proprio per avere la possibilità di dire ciò che penso, non c’è soddisfazione più grande.
S.F.: Il mio stile è onirico, caratterizzato da tante linee che si rincorrono. Spesso la colorazione viene sostituita da linee, pallini, stelle, asterischi. Sicuramente ho una vena molto decorativa. Credo che sia questo a rendere unico quel che faccio. I miei personaggi subiscono spesso “deformazioni”, le gambe possono diventare lunghissime e andare contro le leggi dell’anatomia, i capelli sono sempre al vento, gli occhi molto grandi. Amo vestire le donne che disegno con vestiti desueti, lunghe gonne, tanti ricami oppure non vestirle affatto. Mi piace decorare i capelli delle donne con rose, con gocce, con stelle
Puoi dire di seguire una corrente o maestri particolari?
E.S.: No, ma sono contaminata da ogni cosa che vedo. Ho fatto di tutto in questi venti anni, ho disegnato abbigliamento, ho lavorato nelle agenzie pubblicitarie, sono stata in Disney per otto anni, ho creato personaggi e fondali per un film d’animazione, ho lavorato a libri di scolastica, libri di narrativa, riviste, quadri, ritratti, persino carte da gioco o pattern per carte da regalo. Sono cresciuta divorando i cartoni animati soprattutto Disney e Ghibli e si vede, qualcosa spunta sempre.
R.R.: Ci sono cose che sono più vicine al mio gusto e al mio modo di vedere il mondo; il risultato di quelle influenze si riflette in quello che faccio, ma dipenda anche dai periodi, da cosa sto guardando o leggendo in quel momento. Ad esempio, una mostra di Kuniyoshi ha rinfocolato la passione per pattern, animali antropomorfi e uso della linea, che ad essere onesti sono comunque le cose con cui mi trovo più a mio agio anche durante tutto il resto dell'anno.
Hai creato uno o più personaggi che ti rendono riconoscibile?
E.S.: Ho creato vari personaggi ma sono conosciuta principalmente per i miei gatti e per Merudan, il mio orso che fa yoga. Da qualche anno disegno principalmente di yoga che è l’altra parte di me. La cosa che desidero di più è lavorare ai miei racconti, a quello che ho scritto e tenuto in un cassetto (in una cartella del computer) ad aspettare.
In che ambito ti piace di più lavorare e in quale vorresti metterti alla prova?
R.R.:Nell'ultimo periodo ho lavorato molto nel settore delle app e dei contenuti digitali educativi per bambini, è un ambito che mi piace moltissimo sia dal punto di vista dei soggetti, per cui c'è sempre un aspetto molto stimolante di ricerca e di studio, sia per il modo in cui l'illustrazione e l'aspetto autoriale sono comunque sempre al servizio del modo in cui i bambini interagiranno coi contenuti. Nei prossimi mesi invece mi piacerebbe esplorare il settore dei pattern e dell'illustrazione per il paper design e i tessuti, oltre a mettere al lavoro finalmente il set di strumenti da incisione che ho comprato l'anno scorso e con cui non ho ancora avuto modo di cimentarmi!
Qual è il lavoro che ti ha reso più orgogliosa di te stessa?
S.G.C.: In assoluto l’illustrazione di copertina che ho realizzato a settembre 2017 per la sezione Opinioni del Washington Post. L’articolo su cui ho lavorato metteva in discussione la salute mentale di Trump quindi, alla soddisfazione di lavorare con un cliente di tale importanza, si è aggiunto anche un tema decisamente spassoso da illustrare (anche se nella realtà c’è poco da ridere!)
Che percorso di studio consiglieresti a una ragazza che vuole cominciare?
S.G.C.: Io stessa ho seguito un percorso che toccava l’illustrazione solo in maniera marginale, eppure eccomi qui a cimentarmi con la professione. Tuttavia, esistono alcune realtà in grado di formarti e, contemporaneamente, metterti in contatto con professionisti del settore. Tra questi, in assoluto suggerirei il Mimaster a Milano.
R.R.: Conosco autrici e autori eccellenti che hanno fatto gli studi più diversi o addirittura nessuno, per cui questo è uno di quegli ambiti per cui non credo ci sia una ricetta buona per tutti. Io ho frequentato la Scuola Superiore di Arte Applicata del Castello Sforzesco a Milano. Mi ha aiutato a non dover inventare ogni volta la ruota da sola, per così dire; mi ha messo in mano degli strumenti che poi io sono stata libera di usare alla mia maniera.
Se tornassi indietro agli inizi, faresti qualcosa di diverso?
S.F.: Cercherei di avere più fiducia in me e osare di più. Mi sono sempre troppo sottovalutata, anche quando le cose andavano bene continuavo a non credere in me stessa. Cercherei di essere più esigente e di sognare più in grande.
R.R.: Inizierei a studiare molto prima!
In che modo cerchi di migliorare te stessa?
S.F.: Cerco di disegnare qualcosa solo per piacere mio, che non sia un lavoro su commissione, è importante rimanere collegati al proprio mondo interiore quando si disegna, altrimenti diventa un lavoro e basta.
Quale credi sia la sfida più grande nella tua professione?
S.G.C.: Le copertine del New Yorker. Ho avuto modo di cimentarmi con questa sfida per tre volte negli ultimi mesi ed è un po’ l’Everest di ogni illustratore. Faccio notare che nessuna porta (ancora) la mia firma.
R.R.: Dal punto di vista della professione in senso stretto, credo siano sfide comuni a tutte le professioni creative e al lavoro da freelance: imparare a gestire il proprio tempo, imparare qual è il valore del proprio lavoro perché sia riconosciuto e retribuito equamente. Quando si parla del contenuto, invece, penso sia cercare di creare una cosa che aggiunga qualcosa - anche veramente minuscolo - al mondo, a quello che già c'è, che non accresca solo il rumore di fondo.
Che importanza hanno per te i social media?
S.F.: Enorme. Ho iniziato a lavorare come illustratrice in modo continuativo dopo aver aperto la mia pagina Facebook Burabacio. Il primo libro che ho illustrato “La mia Milano” non ci sarebbe se non lo avessi fatto.
R.R.: In questo momento sono fondamentali: imparare a fare buone foto, capire quali contenuti condividere e come fa parte delle skill da imparare, tanto quanto sapere come presentare un portfolio. Personalmente non li ho mai vissuti esclusivamente come uno strumento di promozione del mio lavoro. Ho portato avanti un blog per un sacco di anni ed è ciò che mi ha stimolato a disegnare anche quando non era la mia professione.
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